giovedì 10 giugno 2004

Prima parte - Cambi di programma

In questo preciso momento avremmo dovuto essere in navigazione per l’Inghilterra. E invece siamo di nuovo in Spagna, a La Coruña. Abbiamo dovuto mettere la barca a terra e c’è un poco di delusione ma non è successo niente di grave. Si tratta, a ben vedere, solo di un contrattempo. Eravamo diretti a Falmouth, sfruttando una finestra di vento favorevole per attraversare il Golfo di Biscaglia. Invece di arrivare in terra d’Albione siamo in terra spagnola e ci resteremo ancora, nell’attesa di fare delle riparazioni. Che cosa è successo?  Qualche giorno fa abbiamo lasciato l’ormeggio di Camarinas, presto al mattino, con la ferma intenzione di affrontare il Golfo di Biscaglia. Tutto a bordo era in ordine e dovevo solo fare i “giri bussola”, una procedura che serve a rilevare gli errori della bussola magnetica. Per fare questo sfrutto le mede di ingresso del fiordo di Camarinas, di cui conosco l’allineamento geografico. Dopo un po’ di va e vieni su rotte prefissate e il loro reciproco, un po’ di calcoletti, solo addizioni e sottrazioni, niente di difficile, posso disporre di un bel diagramma che mi dice qual è la deviazione della bussola in corrispondenza di qualsivoglia valore di prua. E’ un parametro molto importante su una barca d’acciaio, poiché su certe prue l’errore supera i 20°.  Durante tutta la giornata siamo andati bene, avevamo percorso una cinquantina di miglia sfruttando anche il motore, perché il vento era scarso. Il tempo era molto bello e c’eravamo ormai immersi nell'atmosfera della traversata. Io avevo in mente principalmente due cose. Seguire con attenzione la situazione meteorologica e preparare l'atterraggio a Falmouth o, in alternativa, a Brest. Quest'ultimo porto poteva diventare importante come meta alternativa nel caso che si fosse materializzata una sventolata da nord ovest, cosa che nel Golfo di Biscaglia è sempre possibile. Verso le cinque del pomeriggio ero in cuccetta, a riposare, quando un rumore anomalo, proveniente dal vano motore, mi ha fatto schizzare in piedi. Devo fare un inciso e tornare indietro di due settimane circa. Eravamo ancora a Lisbona ed ero dovuto intervenire sull'alternatore per dei problemi elettrici. I guai elettrici li avevo risolti ma, nella stessa occasione, avevo notato che il supporto del suddetto alternatore mostrava dei segni di usura; non sembrava una cosa grave e decisi di non intervenire subito ma di rimandare la sistemazione del problema. Torniamo ora al rumore che si udì mentre eravamo in navigazione. Ho naturalmente spento il motore, sollevato i paglioli, fatti i controlli e la risposta è stata netta: non potevamo più contare sull'alternatore, il suo supporto, appunto già malandato, stava per rompersi completamente. Poco male, a bordo abbiamo due pannelli fotovoltaici e un generatore eolico che, facendo economia di corrente, ci possono dare energia bastante ai bisogni medi della giornata. Smonto la cinghia e immobilizzo l'alternatore, in modo da non sollecitare ulteriormente il supporto. Quindici minuti di lavoro in tutto. Avevo già terminato quando un gocciolio, che era stato presente sin da quando avevo sollevato i paglioli, ma che non avevo focalizzato fino allora, attira la mia attenzione. Un’ispezione e la risposta è terribile: la tenuta dell'asse perde, a dire il vero non copiosamente, ma in modo continuo. Su Ulyxes, oltre agli anelli di tenuta dell'acqua veri e propri ci sono, nella stessa zona, due cuscinetti a sfera, sono dei reggispinta, uno per la marcia avanti e uno per quella indietro. L'acqua salata che gocciola passa proprio attraverso i cuscinetti, perciò si può immaginare che disastro può combinare sulla superficie lucidata a specchio delle sfere e delle piste. L’eventuale avaria dei cuscinetti è di quelle serie e davvero non era saggio continuare facendo finta di niente e sperare nella buona stella. Inizialmente mi sono sentito veramente male dentro. Ho maledetto la sfortuna e ho visto nero sul futuro del viaggio. Mi sono tornate alla mente le difficoltà della prima partenza nel novembre 2003 quando tutto ha congiurato affinché non riuscissi ad arrivare a Gibilterra. Mi è tornato alla mente quanto i venti contrari ci abbiano tenuto fermi ad Almeria, a Portimaõ e a Lisbona. Ho ripensato ai vari problemi tecnici avuti in questi primi due mesi e, insomma, mi sono vittimizzato un tantino. Mi intristiva soprattutto il pensiero che la Norvegia fosse ancora tanto lontana. Quest’ulteriore ritardo l'avrebbe allontanata ancora di più. Che cosa dire poi delle prospettive della riparazione? A Cagliari, ovviamente, non avrei avuto problemi ad organizzare i lavori e a terminarli in pochissimo tempo, ma qui, nel bel mezzo di terre e acque sconosciute, non sapevo neppure da dove cominciare. Anzi, a dire il vero, dovevo ancora decidere verso quale porto dirigere. Le opzioni erano due: La Coruña e Brest. La prima aveva il vantaggio d’essere vicina e, essendo spagnola, forse poteva darci dei vantaggi circa la comprensibilità della lingua e l'atteggiamento della gente, più vicina a noi che non i francesi. La seconda aveva il vantaggio di essere lungo la nostra strada (e i venti erano previsti a favore), ed inoltre, essendo Brest un grande porto, aveva sicuramente le risorse tecniche necessarie alle riparazioni. Sullo sfondo poi c'era la questione economica, lavori come quelli che si prospettavano hanno in genere un impatto economico notevole e il budget di manutenzione era già pericolosamente in rosso. Comunque era necessario decidere, per questo abbiamo cercato di chiarirci le idee discutendo i vari pro e contro. Amalia era sin dagli inizi per La Coruña. Io invece avevo una leggera preferenza per Brest perché era sulla nostra rotta e non avrebbe significato un ritorno indietro. Poi, pesando tutti gli argomenti, e tenuto conto che il vento si era messo, inaspettatamente, da NO   Forza 3-4, ho tirato una linea sulla carta nautica, rotta vera 125°, 35 miglia per La Coruña o, come dicono in lingua gallega, “A Coruña”. La notte l'ho trascorsa al timone. Anche Scipio non ne voleva sapere più di praticare il suo mestiere. Timonava come un nocchiero sbronzo, andava diritto per un pò e poi, improvvisamente di "addormentava" e lasciava andare Ulyxes fuori rotta, ineffabilmente, senza fare una piega, come se non fosse stato suo dovere correggere. Inspiegabile. Non riferisco le male parole che gli ho indirizzato ma ero anche molto preoccupato. Se pure Scipio necessitava di riparazioni potevo ben annunciare il mio prossimo cambio di sport: mi sarei dato all'ippica. Lì, una svolta sfamato e ferrato il quadrupede, resta solo che montarlo e farsi la galoppata, non ci sono molti meccanismi che possano rompersi, a meno che non si rompa il suddetto quadrupede ...
Quindi, in queste poco rassicuranti condizioni tecniche, abbiamo navigato, evitato i soliti pescherecci, seguito con precisione chirurgica le indicazioni del portolano in modo da evitare le secche e i bassifondi che infestano le acque di fronte a La Coruña.
Ci siamo messi in prua il più antico del faro del mondo ancora funzionante, la torre di Hercules, costruito nel II secolo dell'era cristiana dai Romani. Abbiamo traversato zone di mare coperte di schiuma di origine urbana (ah, l'inquinamento!), e, infine siamo entrati nel grande porto. Malgrado lo stato d'animo basso, l'ingresso nel porto sconosciuto è stato carico di piacevole tensione, come mi capita sempre in queste situazioni, e poi la ria (in spagnolo “ria” sta per fiordo) è veramente spettacolare. 
Questi paesaggi costieri galiziani, cosiddetti appunto “a rias” sono molto belli. Già a Camarinas era stato emozionante entrare nelle affrattuosità, mai anguste però, di queste antiche valli fluviali, ora sommerse dalle acque dell'oceano.
Le foreste e i prati verdissimi si estendono giù fino alla riva, le abitazioni e i centri abitati hanno caratteri totalmente differenti da quelli della Spagna mediterranea. Hanno un che di nordico, anche in un certo quale ordine e compiutezza delle costruzioni.
Ma torniamo al porto di La Coruña e al suo Club Nautico, scalcagnato come pochi. Si trova proprio sotto l’immancabile forte d’epoca. 
Trovare un ormeggio non è stato semplicissimo, all'ingresso ci sono molte barche sia all'ancora che alla boa e bisogna fare lo slalom fra di esse per arrivare ai derelitti pontoni del Club. Guardando con attenzione tra le barche già ormeggiate bisogna poi individuare uno spazio vagamente libero e ivi inocularsi senza tanti complimenti. Così abbiamo fatto e, dopo aver ormeggiato, qualcuno è arrivato per dirci che...potevamo stare dove eravamo. Bene, intanto siamo in porto. Dobbiamo riparare la barca ma ne riparleremo, per ora ci godiamo questo scalo inaspettato.

PS:  Il problema di Scipio era di facile soluzione, le solite cimette incasinate.

Dal giornale di bordo:

Siamo arrivati ieri a La Coruña e sono due giorni dacché abbiamo dovuto invertire la rotta. All’inizio l’ho presa proprio male. Se ne sono resi conto anche gli amici radioamatori che si sono dati un gran daffare per solidarizzare e ritirarmi sù il morale.
Queste Isole Svalbard si stanno allontanando sempre di più. Anzi, devo ammettere che già durante la risalita della costa del Portogallo, così lenta a causa dei venti da nord, ho cominciato a pensare che esse fossero fuori della nostra portata. Ormai mi ero quasi rassegnato a fare una corsa fino a Bergen, giusto per toccare la Norvegia, e poi tornare sui miei passi. Forse erano fuori portata anche per certi problemi di risorse umane. Ma questo è un’altra questione, non ho voglia di pensarci. Per ora c’è questo problema dell’alaggio. Tiro su la barca e devo sistemare tenuta dell’asse, ecoscandaglio, staffa dell’alternatore. E il carenaggio? L’avevo previsto a Portimaõ per il mese di ottobre, durante la navigazione di ritorno, in rotta verso le Canari. Ma ora che tiro su la barca potrei rivedere la cosa e decidere di sfruttare al meglio questo alaggio imprevisto. Tra l’altro per stare a terra mi hanno chiesto 8 euro + IVA al giorno, più che conveniente. Finisce che per fare i lavori passa l’intero mese di giugno e allora cambio tutto e magari mandiamo in vacca i progetti e ce andiamo alle Azzorre. La rinuncia alla Norvegia credo non sarebbe una cattiva notizia per Amalia. Sono due mesi che siamo partiti, man mano che il tempo passa le cose si chiariscono e si capiscono meglio. Questo progetto di viaggio a nord non è per solitari, anzi ci vuole equipaggio all’altezza. La barca però c’é. E’ già qualcosa.

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