In genere vi parlo della barca e
dei luoghi che raggiungiamo ma, a ben guardare, lascio in secondo piano il
racconto sullo svolgimento delle giornate a bordo e su come si svolga
effettivamente la navigazione da un porto ad un altro. Lo faccio perché penso
che un’abbondanza di dettagli sulla navigazione e sugli aspetti tecnici
potrebbe anche non essere d’interesse generale. Credo che ciascuno, nel
leggere, si farà una sua personale idea della barca, del mare, del vento, delle
manovre, dello scorrere della vita di bordo anche se, necessariamente, non
potrà mettere a fuoco i dettagli di questa vita.
Noi abbiamo fatto, alcuni giorni
fa, la navigazione da Sines a Cascais, lungo la costa portoghese. Si è compiuta
nell'arco di una giornata ed è stata quindi una navigazione di breve durata, ma
significativa ed esemplare di tante altre navigazioni. Ecco allora l'idea:
salite con noi a bordo di Ulyxes e, insieme, facciamo questa giornata di
navigazione in Atlantico, seguendo le note del giornale di bordo. Vi darò molti
dettagli su come sono trascorse queste 15 ore e niente paura, se a qualcuno
venisse il mal di mare (o si annoiasse) può scendere a richiesta, basterà…
smettere di leggere.
E’ il 9 maggio. Il mio sonno
s’interrompe intorno alle quattro del mattino, mentre siamo all'ormeggio nel
porto di Sines, sulla costa occidentale del Portogallo. C’eravamo rifugiati qui
due giorni fa per il forte vento. L’intenzione é di raggiungere Cascais, nei
paraggi di Lisbona, non appena il vento da nord, che infuria senza tregua,
molli un pò.
Sono due giorni che ce ne stiamo
rintanati a guardare il mondo attraverso gli oblò.
Stamattina, verso le quattro,
sono stato svegliato… dall’assenza del vento, quel vento che ha rumoreggiato e
sibilato tra il sartiame nelle ultime 48 ore, senza interruzione. Lo specchio
d'acqua davanti ad Ulyxes è finalmente calmo e la barca non ha il benché minimo
movimento; questa calma e questo silenzio sono, a modo loro, tanto clamorosi ed
insoliti da riuscire appunto a svegliarmi. Chiamo gentilmente Amalia per
proporle la partenza immediata, ma l'idea non viene accolta con l'entusiasmo
che merita, anche perché il ricordo dello sballottamento del trasferimento
precedente è ancora molto vivo. Desisto e mi riaddormento. Fino alle sette. A
quel punto non ce la faccio più, vedo che la calma di vento persiste, so che
non durerà e, presto, si rimetterà il vento da nord. Sveglio l’equipaggio,
sempre con cortesia ma, stavolta, anche con fermezza e, rapidamente, si fa
colazione. Tè, fette biscottate con marmellata, biscotti, caffè e una mela; mentre
io vado alla "Recepçao" per saldare il conto e salutare, Amalia
rigoverna. Torno e provvediamo a liberare la barca dalla ragnatela di ormeggi
apprestati precedentemente, lasciamo solo il doppino a prua e a poppa. Amalia molla a prua al comando, io libero a
poppa, dò macchina avanti e la barca scivola fuori dell’ormeggio con
delicatezza. Il mare é liscio come l'olio e riflette l'abitato di Sines, la sua
bellissima spiaggia e i mille colori dei pescherecci piccoli e grandi
ormeggiati sul lato opposto dell'insenatura. Usciamo dal porto facendo
attenzione ai galleggianti (bottiglie di plastica!) delle nasse e dei palamiti
che qui sono una vera piaga, sono dappertutto, malamente visibili. Appena fuori
dal porto imposto prua 315° per doppiare Capo Espichel, il vento si mantiene
calmo e procediamo a motore ad andatura economica, 4 nodi rilevati al GPS.
Ieri, finalmente, sono riuscito a sistemare il solcometro e ho l'indicazione di
velocità rispetto all'acqua, 3.5 nodi, la differenza l'attribuisco ad un pò di corrente
a favore. Nel corso della navigazione avrò invece modo di appurare che il
solcometro effettivamente segna una velocità inferiore a quella reale, dovrò
calibrarlo. Anche questo finisce nella lunga lista delle cose da fare! Sto al
timone e mantengo la rotta meglio che posso, non possiedo un autopilota
elettronico e Scipio, il timone a vento, in assenza dello stesso si rifiuta
naturalmente di collaborare. Amalia ogni tanto mi da il cambio e io ne
approfitto per rilevare la posizione al GPS e riportare il punto sulla carta,
controllo la rotta, imposto piccole correzioni e aggiorno la stima dell'orario
di arrivo a Cascais. Se continua così alle 18 saremo in porto. Però non spargo
la voce, è meglio non dare illusioni, il vento da queste parti è capriccioso e,
sempre, bastian contrario, so che può soffiare da un momento all'altro da nord
e allora addio arrivo con la luce del giorno. Se arriveremo di notte è
probabile che dovremo stare fuori del porto fino all'alba, io non amo entrare
di notte in un porto sconosciuto, lo faccio solo se sono completamente padrone
della situazione, com’è già accaduto a Gibilterra. Filo di poppa la traina con
Giosuè, il nostro Rapala killer, che però oggi farà cilecca, non era
evidentemente in gran forma.
Sssssh.... zitti, zitti, sono le
11 e arriva un venticello da Ovest Nord Ovest, prima forza 2 che poi passa a 3,
insomma una decina di nodi che ci permettono di svolgere tutto il fiocco che,
cazzato a ferro, ovvero reso quanto più possibile piatto e teso, ci dà una gran
mano ad aumentare la velocità che è spesso sopra i sei nodi. Non male. Inoltre
l'arrivo del vento mi permette di scatenare le smanie di Scipio, che comincia a
prendersi cura della condotta della barca e io posso lasciare il timone. I
puristi si chiederanno perché non andassimo solo a vela, utilizzando anche la
randa e bolinando sui bordi. Beh, anche a me il rumore del motore non piace,
preferisco lo sciabordio dell'acqua contro lo scafo e il fruscio del vento
sulle vele. Però "à la guerre comme à la guerre", se un pò di motore
mi permette di arrivare in porto con la luce e di evitare di stare tutta la
notte in panna, in una zona frequentatissima com’é l'estuario del Tago, allora
non ho dubbi, utilizziamo “il vento di sentina”. Ne guadagniamo in sicurezza e
arriviamo prima. Tra l'altro su questa costa la sventolata da nord è sempre in
agguato e allungare i tempi significa aumentare la possibilità di buscarne una
ed essere ricacciati indietro, perdendo miglia e miglia. Mentre procediamo, la
terra, di poppa, si fa sempre più indistinta, solo alcune ciminiere, altissime,
a sud di Sines, si mostrano ancora, come spilli puntati in cielo, mentre a prua
comincia ad intravedersi Capo Espichel. Un nome che mi è già familiare, tante
sono le volte che l'ho letto sulle carte. Quando, in passato, fantasticavo
sulle mie navigazioni future esso si poneva davanti a me in ogni possibile
rotta verso il Nord Europa. Per ora lo
intravedo nella foschia e mi chiedo che aspetto avrà. Sarà bello? Sarà così
così? Eh sì perché c'è capo e capo. Vedremo. Intanto la rotta necessaria, per
far portare bene il fiocco si è stabilizzata intorno a 325-330°, mentre la mia
rotta per doppiare il capo dovrebbe essere di 315°, dovrò quindi fare un bordo
per guadagnare un pò di sopravvento. Per il momento procedo sui 325°, e quindi
verso costa. Capo Espichel si avvicina, è imponente e aspro, con il faro in
bell’evidenza contro il cielo azzurro. Sono circa le 12 e arriva in pozzetto
qualcosa da mangiare, pane e acciughe per l’equipaggio, un poco di riso bollito
scondito per me. Può sembrare un cibo poco invitante, ma io, lo adoro, lo trovo
saporito e facile da mangiare. Del resto il cibo, quando sono in navigazione, è
per me l'ultimo dei pensieri, deve veramente solo sostentarmi, non cerco mai
gusti particolari o piatti complicati. Intanto certe nubi stratificate che
erano lontane, a nord, si avvicinano. La visibilità prima eccellente, comincia
a diminuire. Capo Espichel, malgrado sia ora più vicino, si vede con minor
chiarezza, ho giusto il tempo di dire “Mi sa che è meglio mettere la cerata”,
scendere in plancia, indossarla, tornare fuori, che una sottile pioggerella,
stile londinese, viene giù a bagnare tutto. Con gentilezza però, quasi in punta
di piedi. La temperatura si abbassa, già che in queste zone ancora di caldo non
se n’è visto per niente. Amalia indossa i guanti polari(!) e si incantuccia in
un angolo del tendalino. Non siamo ormai molto lontani dal capo, metto a riposo
Scipio perché lui è sì infaticabile e non chiede né pane né acqua, però, per
sua natura, porta la barca con un certo serpeggiamento, cioè non è capace di
andare perfettamente dritto, ma va sempre un pò da un lato e un pò dall'altro
della giusta rotta. Questo ondivagare fa
sì che noi si scarrocci sempre un tantino sottovento. Per non perdere troppo
cammino, prendo il timone e bolino con la massima precisione che mi è
possibile.
In questa zona c'è un pericolo
costante: le spadare. Sono attrezzi da pesca lunghi chilometri, contrassegnati
da bandiere e sostenuti da galleggianti. A volte, tra una bandiera e l'altra,
ci sono svariate centinaia di metri e se il cavo che le unisce finisse
sull'elica ne nascerebbe un vero disastro. Ecco perché è necessario scrutare
incessantemente la superficie del mare. Non appena si vede una bandiera bisogna
guardare sopravvento, alla ricerca di quella che la precede, in modo da farsi
subito un'idea della sua disposizione e assumere una rotta parallela alla
spadara, finché anche l'ultima bandiera non sia lasciata di poppa, solo allora
si può tornare sulla propria rotta. E di notte? Che dire per le navigazioni
notturne? Quante volte saremo passati accanto o addirittura attraverso una
spadara senza rendercene conto? Brrr,
meglio non pensarci! Viro di bordo, vado per 270° per guadagnare il sopravvento
che mi serve, debbo fare questo bordo non più lungo del necessario dato che in
realtà mi allontana dalla mia meta, ma mi serve per doppiare il capo. Una
ventina di minuti dopo viro ancora e rientro verso il capo, che adesso si
avvicina e si mostra in tutta la sua orrida bellezza. E’ un lungo e altissimo
spuntone calcareo. La base è un tormento di scogli, rive scoscese, tante grotte
grandi, nere e buie. La sommità è invece abbastanza piana e regolare con una
bella copertura vegetale. Con la prua attuale ci avviciniamo fino a poche
centinaia di metri dalla riva, ho osservato con molta attenzione la carta
nautica per scoprire eventuali secche o scogli affioranti: non ce ne sono.
Altro piccolo bordo per 270° perché ancora non riuscirei a doppiare il capo,
poi di nuovo a dritta per 325°. Questa volta, e sono circa le 16:00, passiamo
il capo, di stretta misura, con una bolina di precisione, degna di Luna Rossa (
beh mi piace esagerare a volte!). Appare ora l'altra faccia di Capo Espichel.
E' un incredibile costone dove sono disegnati con gran nitidezza gli strati
calcarei che costituiscono la struttura geomorfologica del Capo. Chilometri e
chilometri di costa, con tutte queste strisce, inclinate di oltre 45 gradi
sull'orizzontale; l'erosione marina ha lavorato alla base causando dei crolli
e mettendo a nudo le superfici lucide e
lisce degli strati, che si immergono in mare.
Mi è venuto da pensare che se ci
si ponesse sulla sommità, ci si potrebbe sedere su quelle superfici lisce e
lasciarsi scivolare, arrivando al mare senza il minimo scossone come lungo una
discesa ghiacciata. Oltre il capo si comincia a vedere la costa che corre verso
nord. E’ un'ampia insenatura, che porta prima alla bocca del Tago, il fiume di
Lisbona, e poi a Cascais. Anche qui si va di bolina “corretta”, vale a dire col
motore ad assistere, perché il vento è ancora debole e viene quasi dalla
direzione verso cui noi vorremo andare. Lo stimato d'arrivo è ormai intorno
alle 23 e io sono ancora incerto se entrare o no in porto. Ne parlo con Amalia
e decidiamo di rimandare la decisione a quando saremo prossimi all'arrivo. Se
mi sentirò in sicurezza procederemo all'ormeggio, altrimenti staremo in panna
fuori dal porto fino a domani mattina (una prospettiva poco allettante,
comunque la si metta). Intanto che procediamo lungo la costa, stringendo al
massimo l'angolo col vento, entriamo in un'area della baia dove possiamo
osservare uno spettacolo mai visto prima. Sono migliaia e migliaia d’uccelli
marini di varie specie, ne ho distinto almeno tre anche se, purtroppo, ancora
non sono capace di assegnargli un nome.
Tantissimi volatili che coprono
letteralmente la superficie del mare galleggiando come papere, mentre altri
fanno il loro mestiere e volano, come si conviene agli uccelli, fiondandosi poi
in acqua per cogliere di sorpresa i pesci che, evidentemente, stanno nell'area
in gran numero. Gli uccelli simil-papera non si allarmano più di tanto al
nostro arrivo. Remando senza fretta con le loro zampe palmate, si scansano del
tanto strettamente necessario a levarsi dalla rotta della barca e poi
continuano imperterriti nelle loro attività.
Io tengo d'occhio, speranzoso, la
traina, si sostiene che dove c'è mangianza per gli uccelli ci siano anche i
predatori di grande taglia, ma la speranza è vana, oggi niente pesce fresco. Si
va verso la sera e ancora siamo lontani da Cascais. Continuo a carteggiare con
precisione e accendo il radar, voglio confrontare gli echi sullo schermo con
ciò che osservo a vista, non si sa mai, prendere un granchio in acque
sconosciute e a meno di un miglio dalla costa sarebbe al minimo imbarazzante,
disastroso se avessimo sfortuna. Siamo nelle vicinanze di aree ad alto traffico
e tra poco entreremo nella zona delle barre fluviali del Tago, con i loro
bassifondi. Amalia è abbarbicata alla ruota del timone già da un pezzo, il suo
delicato compito è di non distrarsi e di mantenere il valore di prua che io
determino al tavolo di navigazione. Passa il tempo, ormai il buio ha cancellato
ogni possibilità di riconoscere a vista i dettagli della costa, si vedono
tantissime luci lungo l'intera baia. Guardando all'indietro si vede bene il
lampeggiare del faro di Capo Espichel, un lampo bianco, luminosissimo, ogni
quattro secondi, ma poi, lungo la costa è solo una distesa indistinta di luci.
A circa sei miglia da noi, a dritta, si delinea sullo schermo radar la bocca
del Tago. L’immagine sullo schermo è molto diversa dalla realtà, ci vuole un pò
d’esercizio per stabilire le corrispondenze con la carta nautica. Ma ecco che
un segnale molto grande e distinto, con distanza in rapida diminuzione, si
mostra sullo schermo radar, in corrispondenza della bocca del fiume. Ad occhio
nudo non si distingue un bel niente ma la distanza continua a diminuire. E’
senza dubbio una nave, ma l’occhio è impotente a discernere alcunché. So per
certo che c'è una nave, ma dov'è questa benedetta. Dove sono le sue luci di
via? Ad un certo punto, come per incanto la vedo, o, meglio, vedo la sua
silhouette. Cosa capita? Capita che la nave, un grande mercantile, costituisce
una massa opaca che oblitera le luci retrostanti e, incredibilmente, la nave si
delinea perfettamente come una sagoma nera che scivola contro lo sfavillio di
luci dello sfondo. Direte: e le luci di via della nave? In queste condizioni di
sfondo molto illuminato, le luci di via sono semplicemente patetiche e niente
possono contro lo sfavillio retrostante, letteralmente scompaiono. Adesso è agevole manovrare per scostarci
dallo scomodo vicino e, capito il trucco, diventa agevole individuare altre due
navi che seguono a poca distanza (tutte queste navi sono così ravvicinate
perché è il momento in cui la marea è propizia all'uscita dal fiume e quindi si
forma una sorta di “coda”). Nel frattempo siamo impegnati anche nel cercare di
riconoscere il nostro porto di Cascais. Sul radar la forma della baia è
chiaramente riconoscibile ma devo trovare la diga foranea. Ho il problema che
la carta nautica non è recente e il porto turistico, costruito da poco tempo,
non vi compare. In conformità ad una descrizione trovata su un portolano, ho
potuto abbozzare, a matita, la forma approssimativa del molo di sovraflutto
sulla mia carta nautica. Non è certo
gran cosa. Però un faro, quello di
S.Marta, posto nelle vicinanze del porto, si fa riconoscere molto prima di
quanto pensassi. Nel nostro settore mostra un lampo rosso ogni sei secondi.
Poco dopo sul radar si delinea una forma così rettilinea che, secondo me, non
può che essere il molo di sovraflutto di Cascais, quello che sulla carta ho
tracciato a matita. Prepariamo i nostri due fortissimi fari da alcuni milioni
di candele, potrebbero aiutarci. Aguzziamo lo sguardo come faine, ogni tanto
vediamo una luce rossa, ci fa pensare che siamo riusciti ad individuare il
fanale sinistro della bocca del porto e invece sono solo illusioni ottiche, forse
sono le luci degli stop delle auto. Poi, finalmente, individuiamo il nostro
segnale rosso lampeggiante, la frequenza dei lampi è quella giusta, è Cascais.
Resta solo da individuare il fanale verde per capire come sia disposta la bocca
del porto ed entrare. Purtroppo l'ecoscandaglio ha smesso di funzionare e, man
mano che ci avviciniamo a terra, quest’avaria diventa sempre più fonte d’ansia.
Se conoscessi la profondità reale del fondale sarei tanto più tranquillo.
Comunque la carta nautica mi da profondità tranquillizzanti e quindi
procediamo, lentamente, verso terra, nell’attesa di avvistare il fanale verde.
La luce rossa lampeggiante si fa più vicina e la situazione sembra tranquilla.
All'improvviso, compare una seconda luce rossa lampeggiante come l’altra, posta
più a destra della prima. E’più debole e prima non si vedeva. Ohibò, e questo
cosa significa? In un mondo fatto solo di luci e di aree buie, un'ambiguità
come questa ti butta di colpo nell'incertezza più profonda. Quale delle due
luci rosse segnala l'estremità del molo di sovraflutto, che cosa c’é nello
spazio tra le due luci? Acqua? O solida TERRA?
O solido CEMENTO? Non si vede nulla, ma bisogna assolutamente non
sbagliare. L'istinto mi guida a non passare fra le due luci e a far rotta
intorno alla seconda luce rossa lampeggiante. Ancora all'improvviso, si svela,
finalmente, l'agognata luce verde che contrassegna il molo di destra. Ora la
posizione della bocca del porto è inequivocabile, non ci sono più problemi, so
dove dirigere la
prua. Procediamo ormai col cuore leggero e ormeggiamo al molo
di attesa. Con un grande senso di soddisfazione per una cosa ben riuscita,
speriamo che vada sempre così.
P.S. Quando, il giorno dopo,
abbiamo lasciato Cascais per risalire il Tago, mi sono rallegrato per aver
preso la giusta decisione la sera prima: la zona di mare compresa tra le due
luci rosse lampeggianti è costellata di scogli affioranti!!!