giovedì 21 giugno 2012

Falla a bordo

Quando vedrete questo racconto pubblicato sul sito vorra' dire che il mio viaggio sta concludendosi felicemente e che Ulyxes e' di nuovo in acque amiche. Avevo deciso di non pubblicarlo prima per rispetto e amore nei confronti delle persone che mi vogliono bene e che, da lontano e quindi in maniera generica e senza riferimenti troppo precisi, patiscono l' ansia di sapermi lontano in mare. Conoscere nei dettagli il rischio che ho corso in occasione dell'incidente che sto per raccontare avrebbe aggiunto un altro motivo di apprensione. Ecco perche' ho reputato che fosse meglio pubblicare questo raccontino solo a viaggio in via di conclusione.

L'argomento e' la rottura della presa a mare avvenuta la notte del 24 ottobre 2011, e l'apertura conseguente di una falla importante nello scafo di Ulyxes.

Come molti racconti del terrore eravamo in una notte buia e tempestosa, magari tempestosa e' eccessivo, pero' navigavo gia' da diverse ore bolinando contro un vento di 20-25 nodi, la notte era buissima e le onde di tutto rispetto. Il fracasso del mare contro lo scafo era molto forte, a bordo tutto gemeva e strideva, avevo perfino spento Sancho, il generatore eolico perche' il suo sibilo aumentava il rumore generale con una nota acuta angosciosa. Non timonavo perche' a questo pensava Scipio, il mio timone a vento, che pero' non era piu' fido come una volta. Le modifiche che avevo apportato non erano ancora a punto, solo le sollecitazioni della navigazione in mare agitato potevano tirar fuori le magagne, cosi' come stava avvenendo. La sua regolazione era ancora difficoltosa e lui era ancora talvolta inaffidabile. Lo era al punto da provocare, inopinatamente, delle strambate che non avevano avuto conseguenze serie perche' io tengo sempre rizzate le ritenute del boma il quale, in caso di strambata appunto, viene comunque tenuto in posizione di sicurezza, e non puo' spazzare il ponte e il pozzetto come un ariete impazzito. Quindi non sono esattamente tranquillo. Posso anche dire con onesta' che ancora non mi ero riabituato alla navigazione in solitario. Prima di partire pensavo che nello spazio di alcune giornate di navigazione si sarebbe ricreato quel sodalizio tra me, la barca e gli elementi di cui tanto avevo gioito durante il mio viaggio precedente. E invece il processo e' stato molto piu' lungo e, a tratti, tormentato. Torniamo quindi a quella notte. Ho lasciato il fracasso del pozzetto per avere un po' di pace al riparo, in quadrato. Credo fosse circa l'una di notte. Dentro la barca i rumori esterni arrivano attenuati mentre si sentono ovviamente quelli interni. Il rumore dell'acqua che scorre contro lo scafo e' presente ma attutito. C'e' un altro rumore d'acqua in movimento, e' quello dell'acqua che sta in sentina, risultato della non ermeticita' di un oblo' che ancora non sono riuscito a sigillare. Non e' molta, a dir tanto il contenuto di due secchi. Pero' il continuo beccheggio della barca fa si che questa poca acqua scorra avanti e indietro provocando un rumore caratteristico, come di ruscellamento, Lo conosco. Non mi preoccupa, la via d'acqua e' piccola e non e' suscettibile di crescere. Periodicamente sgotto con la pompa di sentina che pero' non e in grado di vuotare totalmente la sentina stessa, un fondo resta sempre, ed e' appunto quello che genera lo sciacquio. Sono al tavolo di navigazione, assicurato con l'apposita cinghia per evitare di essere catapultato in occasione dei movimenti piu' selvaggi. In mezzo a tutti gli altri rumori sento una nota diversa nel ruscellamento della sentina. Aguzzo l'udito, mi dico che non c'e' nulla di anomalo, e' il solito rumore. Passa forse un secondo, lo risento, e' diverso dal solito. Scendo in quadrato e sollevo un pagliolo per controllare. Nel fondo della sentina l'acqua sembra la solita, siamo al buio e voglio disperatamente credere che sia cosi'. Ma, essendomi avvicinato, risento meglio il rumore. E' piu' avanti, non e' in sentina. dio, ma e' sotto i paglioli della cabina di prua, col pagliolo sollevato si sente uno scroscio spaventoso, l'acqua sta entrando in barca in grande quantita' e il livello in sentina sta salendo velocemente. Il cuore mi batte all'impazzata, la barca ha una via d'acqua enorme, lo capisco al volo dal rumore e dalla velocita' con cui sale il livello in sentina. Metto in azione le pompe e, freneticamente sposto i bidoni da 25 litri di gasolio che ho riempito a Gibilterra come riserva per l'attraversamento a motore della zona delle calme equatoriali. Sono pesanti ma nell'urgenza della situazione li sollevo come piume dopo averli slegati gli uni dagli altri. Sollevo il primo pagliolo e vengo letteralmente investito dal getto d'acqua che viene da un buco nello scafo. Resto una frazione di secondo inebetito. E' una immagine che non rientra nella logica della mia mente. Non puo' esserci un buco nello scafo della mia bella barca in acciaio ad alta resistenza. Dove c'e' la falla c'era prima un tubo di acciaio inox, che come tappo ha il sensore del solcometro. Normalmente stava laddove ora c'e' il buco che vomita acqua. Invece ora sta reclinato, di fianco, lasciando aperto un foro di circa cinque centimetri di diametro nella carena. E l'acqua si sta precipitando dentro attraverso questo foro. In quei momenti la mente elabora a velocita' inaudite. Il tempo si dilata e un secondo diventa lunghissimo. Mentre cerco di fare ordine nelle idee e nelle emozioni, faccio l'unica cosa possibile al momento, pongo il palmo della mano a chiudere il foro e impedisco all'acqua di entrare. La barca intanto continua a navigare, Scipio, ignaro, fa del suo meglio per tenerla di bolina, e il vento e le onde continuano col loro fracasso. Io solo laggiu', inginocchiato e quasi al buio, con una mano ostacolo l'ingresso dell'acqua e per un attimo mi vedo perso. La mia solitudine diventa un simbolo di morte. Sento come una sofferenza fisica la mancanza di un mio simile che mi aiuti. Ho il cuore che sembra voglia scoppiarmi nel petto. Cerco di darmi una strategia. Sono attimi di angoscia essenziale, non c'e' spazio per altro. Ma poi, e sto parlando di secondi, lunghissimi, ma attimi, fulminei, faccio l'appello mentale delle risorse sulle quali posso contare per uscire da questo casino. So che per questi casi, sempre con l'idea che mai ne avro' bisogno, ho preparato, in un posto molto a portata di mano, dei coni di legno di varia misura. Dovro' recuperarli, dovro' recuperare il martello, dovro' portare il tutto dove e' il foro, infilare il cono della misura adatta nel foro stesso e martellarlo a morte, finche' esso non sia piantato solidamente ad ostruire la falla. Devo fare questo senza errori, non devo fare un benche' minimo passo falso, niente mi deve cadere di mano, ormai la sentina e' piena d'acqua e non troverei piu' nulla. Faccio mentalmente il percorso piu' veloce e sicuro, visualizzo dove mettere i piedi, metto bene la pila portatile in tasca, non mi deve cadere. E poi, la cosa piu' difficile, devo decidere quando partire. Sono ben conscio che dal momento in cui togliero' la mano la cateratta si riaprira', mi si spacchera' il cuore a risentire quello scroscio dentro la barca. Ma non ho scelta, non c'e' la mano di un altro pronta a rilevare il mio posto. Sono solo. Respiro profondamente, mi concentro, ho un solo pensiero, fare velocissimamente ma senza errori, se sbaglio qualcosa potrei non avere un'altra possibilita', almeno cosi' mi sembra. Parto. Lascio dietro di me la colonna d'acqua che entra in pressione, salto in plancia, apro lo stipo sotto il tavolo di navigazione e prendo i coni, vado a destra piu' in alto, apro il contenitore degli attrezzi lunghi e prendo il martello. Mi rigiro con freddezza, ripercorro la strada all'indietro, con calma studiata, non devo incespicare sui paglioli sollevati alla rinfusa. Torno alla falla mettendo subito la mano per ostruirla. Sto un lungo istante a prendere fiato. Ora sento di avere delle possibilita' da giocare, l'angoscia si allenta. Ora il punto e' far bene il lavoro, bisogna otturare la falla in modo che non si riapra. Prendo il cono piu' grosso e provo ad infilarlo nel foro, in mezzo ad un festival di spruzzi ma, il diametro e' insufficiente. Di poco. Recupero uno straccio, sempre tenendo la mano destra sul foro e in qualche modo, con la sola mano sinistra, lo avvolgo intorno al cono, lo infilo nel foro e comincio a dare di martello. Questa volta il diametro e' sufficiente. L'acqua non entra piu' a fiotti. Resta un insignificante trafilamento. Resto interi minuti a fissare il cono che adesso protrude orgogliosamente, e' piantato con forza nel foro e col passare del tempo si imbibira' completamente gonfiandosi e facendo ancora piu' forza contro il foro. Mi dico queste cose mentre comincio ad accorgermi che mi tremano le mani. Anzi, tremo un po' tutto, ma forse e' perche' mi sono inzuppato i vestiti. Mi sposto al tavolo di navigazione per fare il punto della situazione, per controllare che cosa sta succedendo fuori, perche' il mare e' sempre molto grosso ed il vento sempre rabbioso, e bisogna che qualcuno segua la navigazione. Passa una diecina di minuti. Ogni tanto controllo il tappo. Tutto a posto. Mi accingo ad uscire in pozzetto per controllare fuori. Sono sulla scaletta e di nuovo il terribile scroscio di acqua che entra a dirotto. Il cono non ha tenuto e la pressione idrostatica esterna lo ha ricacciato dentro la barca. Ma stavolta ho l'ammaestramento della volta precedente. Non mi spavento. Cerco uno straccio adatto, di tessuto molto grosso e robusto. Prendo la mazzetta da 5 chili. Torno alla falla e recupero il cono saltato. Stavolta faccio con calma. Avvolgo lo straccio strettamente sul cono adoperando entrambe le mani. Ne viene fuori un aggeggio ben avvolto e stretto, intanto l'acqua continua a scrosciare, che incubo, ancora ne ho l'orribile rumore nelle orecchie. Poi infilo il cono nel foro e stavolta ci do di mazzetta finche' il cono non riesce piu' a procedere. Stavolta l'ho cacciato dentro con tale possanza che quando si trattera' di toglierlo, martellandolo da fuori, mi dara' il suo daffare. Il resto della notte e' senza altre sorprese. Io devo combattere contro la paranoia che mi spingerebbe a stare davanti al cono per non perderlo mai di vista e mi impongo di controllarlo invece solo ogni mezzora. Nel corso della notte il vento molla, viene l'alba e il mondo diventa meno angoscioso. Con la luce le paure si ridimensionano e prendo fiducia nella riparazione di fortuna. Ad ogni buon conto annego la testa del cono in un grosso malloppo di stucco epossidico speciale, che fa presa in presenza di acqua. Nella mattinata il tempo migliora decisamente e i due giorni di navigazione mi mancano per arrivare a Las Palmas di Gran Canaria, trascorrono in uno stato d'animo via via piu' sereno. Una volta in porto poi sara' il momento della riparazione, non semplice perche' non era possibile sollevare Ulyxes, il cantiere era sovraccarico di lavoro. E va beh. Che ci vuole. Un po' di inventiva, l'aiuto di Jose' Luis un amico canario che si presta a costruirmi personalmente una sorta di tappo, un sommozzatore sveglio, il toccasana epossidico di cui sopra e insomma il "fattapposta" fara' altre diecimila miglia senza fare una piega. Al prossimo carenaggio provvedero' in maniera piu' definitiva.

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