domenica 9 ottobre 2011

Da Cartagena

Vi scrivo, come da titolo, da Cartagena, sud della Spagna, mentre ancora fumo la mia pipa postprandiale ( grazie ancora Sergio PEV), mentre nello stereo girano i miei amati Led Zeppelin d'annata. Siamo ormeggiati nel marina locale e questo momento e' uno di quelli che rendono il navigare con la propria barca un'esperienza unica e insostituibile. Non e' facile spiegare questa cosa e io non sono forse in grado di farlo. Ma non sia detto che non ci provi. Cominciamo con la partenza. E' un momento terribile, forse qualcuno non l'avrebbe mai detto, ma per me e' cosi'. Quando recuperi gli ormeggi messi a doppino, preparati la sera prima proprio in previsione che li devi prendere con te per usarli poi in tutti gli altri approdi che conoscerai, in quel momento stai tagliando l'ennesimo cordone. Questo ti legava alla sicurezza del tuo ormeggio usuale e chissa' se e dove li userai. Proprio quel momento, quando recuperi gli ormeggi, dai macchina avanti e esci dal tuo ormeggio, proprio allora ti viene una fitta profonda, vuoi partire ma vorresti anche restare, vuoi navigare con la tua piccola barchetta, ma capisci anche quanto sia piccola e precaria. Tutt'altra cosa la casa, il letto col tepore che ti comunica la persona che ami. Eppure devi partire, l'hai promesso a te stesso, a Ulyxes, ai luoghi che scoprirai e che si riveleranno ai tuoi occhi. Le prime ore sono di totale estraniamento, vuoi che non sei piu' abituato a vivere permanentemente in barca, vuoi che davanti a te vedi solo perdita di sicurezze, vuoi che hai ancora negli occhi tutti coloro che sono venuti a salutarti. Sai anche che ora devi reinventare tutta la tua vita, momento per momento. Poi arrivano i momenti delle difficolta', manca il vento, la barca ha un problema, tu fai un errore che non avresti dovuto fare, tutto puo' andare storto, non te lo nascondi mai. Ma vai avanti. La barca, e io stesso, non siamo fatti per tornare indietro senza un motivo adulto. Il Brasile e' lontano si, ma davanti a noi, me ed Ulyxes. Sai che ogni lungo viaggio inizia col primo passo, e cosi' consumi le giornate, nel dubbio, nell'incertezza, ma con il desiderio di andare avanti verso cose che, in fondo, non conosci eppure le vuoi cobnoscere, toccare, e dire poi: ecco com'era. Com'era che cosa? Ma il sogno, solo il sogno. Il sogno di un mondo fuori dal tuo usuale. Un sogno dove tu sei l'artefice di tutto, bene e male. Il sogno della liberta' di andare o fermarti, il sogno di dire: se sbaglio qui sono fritto! e dare il meglio di te per non buttarti nella padella. Stanotte, l'ultima notte di navigazione prima di arrivare a Cartagena, e' stata di quelle che non si scordano. Mi sono fatto sorprendere da un peggioramento del tempo repentino. Non ho potuto apprestarmi come avrei dovuto. Ho timonato tutta la notte in mezzo a onde molto alte, il vento a tratti soffiava forte davvero, non potevo lasciare il timone perche' Scipio, il timone a vento, il mio compagno di tante traversate, non ne voleva sapere di collaborare. Dopo averle provate tutte, mi e' restato solo che stare al timone per evitare che la barca si intraversasse. Nessuna possibilita' di bere o di mangiare. Le ore si accumulavano, il vento non scemava. le onde si facevano frangenti. Ne sentivo il rumore mentre arrivavano da poppa e gia' giravo la ruota del timone per contrastarne l'effetto sulla barca, ma dovevo combattere col sonno e la stanchezza. Mi dicevo continuamente:- Concentrati! Non fare stupidate, non conta che sia stanco, ogni onda che arriva e' un'altra da quella di prima, per lei non conta che tu sia stanco, lei, se glielo lasci fare, ti straia, te e la barca. E cosi', onda dopo onda e' trascorsa la notte. Mi dicevo di tenere duro, tanto l'alba doveva arrivare, non esiste che la notte non finisca. Il sole e' ancora sotto l'orizzonte, ma e' in viaggio, per te, per dare luce a questo mondo buio, duro, fatto di onde e vento. E arrivera'. E quando arrivera' tutto sembrera' differente, piu' umano, piu' alla tua portata. ora devi solo fare in modo di dargli il tempo di arrivare. E arrivo'. Le luci della terra ormai visibile, i fari, le navi di passaggio, le stesse onde erano cosi' come le conoscevo. La loro carica di paurosita' svaniva con lo svanire del buio. Anche Scipio con luce e' stato piu' collaborativo, finalmente potevo lasciare il timone per dei brevi momenti e consultare le carte, posizionarmi nel loro mondo di simboli, stabilire con rassicurante certezza che cosa dovevo fare per trovare il porto, il mio approdo, appoggiare con delicatezza Ulyxes alla barca vicina di ormeggio, spegnere il motore, guardarmio intorno e scoprire che esiste un universo chiamato Cartagena e che io e Ulyxes eravamo entrati a farne parte, anche se per pochi brevi e eterni momenti.

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