sabato 26 giugno 2004

La Galizia

Abbiamo lasciato la Galizia e nuovi luoghi, totalmente diversi ci attendono, però come capita sempre quando partiamo, un pò del nostro cuore resta nel luogo che stiamo lasciando. I nostri due ultimi approdi sono stati  Camariñas e La Coruña. Il primo, un piccolo paesino di pescatori con un piccolo porto e un ancor più piccolo marina. Il secondo, un grande centro moderno con un grande porto oceanico e un marina modernissimo in via di completamento. Tra i due luoghi un carattere comune: quello d’essere galiziani. Qui, in questa terra di lontane origini celtiche, la gente è sì spagnola ma di una natura speciale e originale, una singolarità simile a quella, se volete, di essere sardi in Italia. La lingua galiziana è naturalmente vicina al castigliano, parlato nel resto della nazione, ma con molte differenze e, inoltre, con delle somiglianze col portoghese. La gente sente molto la propria particolarità culturale e, come noi sardi, ne è insieme orgogliosa e prigioniera. Un galiziano doc, Juan, (per interderci, il “Batman”  di un recente racconto), con il quale abbiamo immediatamente legato, mi ha rivelato come loro, quando si spostano, per esempio a Madrid, si sentono osservati, hanno paura di essere considerati "provinciali". Dentro di me ho pensato che, forse, è solo una sorta di complesso che si portano addosso, e mi tornavano alla mente i miei primi tempi in Accademia a Pozzuoli, unico sardo, perso in mezzo a 150 colleghi "continentali". Il tema della Sardegna mi è tornato con insistenza alla mente durante la permanenza in Galizia, o Galiza come dicono loro. Infatti una radio locale, Radio Oleiro, mandava in onda lunghi periodi di musica tradizionale e, da non credere se non lo si sente, alcuni brani cantati da voci maschili soliste e alcuni pezzi suonati con una sorta di cornamusa locale, la gaita, facevano pensare ai nostri Cantores e alle launeddas rispettivamente. Sarà sicuramente un fatto casuale, ma mi ha molto intrigato.
La Galizia è verdissima e boscosa. La campagna e i boschi sono punteggiati da casolari e abitazioni, molto belle e curate, accanto alle quali ogni tanto spunta un "horreo".
Si tratta di una costruzione, originale di questa regione, che ormai viene conservata come monumento. E’ una capanna di pianta rettangolare, sopraelevata rispetto al terreno e costruita interamente in pietra. Il suo pavimento poggia su degli slanciati coni infissi nel terreno, come fossero delle corte colonne. Tra i coni e la base della capanna sono interposti dei grandi dischi di pietra. Lo scopo di quest’elaborata struttura é quella di rendere impervio l'accesso ai roditori, giacché la funzione dell'horreo era di luogo di conservazione delle provviste come grano, patate e legumi in un ambiente aerato (le pietre sono solo sovrapposte e non c'è malta, esattamente come nei nuraghi). Era quindi una struttura di grande importanza per la sopravvivenza delle famiglie: era la loro dispensa.
Durante la nostra permanenza siamo stati a Santiago de Compostela. Non potevamo non andare a visitare uno dei luoghi di pellegrinaggio più conosciuti della cristianità. E n’è valsa la pena. In molti sensi. E’ stata una visita che mi ha fatto meditare molto. 
Santiago è l’esemplificazione, il paradigma del sentimento religioso spagnolo, del resto non tanto dissimile per certi versi a quello italiano. In fin dei conti è la stessa religione e abbiamo un papa in comune, ma ci sono delle peculiarità di grande rilevanza. L'intera città è costellata di edifici religiosi e di culto, la chiesa di San Francesco, il convento delle Clarisse, fra i tanti, e poi la celebre Cattedrale. Tutti questi monumenti hanno un elemento unificante: la severità, che incute reverenza e quasi timore. Sono severi nella pietra con la quale sono costruiti, un'arenaria grigia e un pò scura. Sono severi nelle statue di santi e personaggi vari, tutti molto pedagogici e ammonitori. Sono severi nella penombra degli interni, dove gli altari rifulgono nella maestosa magnificenza dell'oro zecchino che copre tutto. 
E poi, a far sentire ancor più piccino il pellegrino, contribuiscono le imponenti dimensioni dei monumenti e del contesto urbanistico in cui essi sono inseriti. La dimensione religiosa che sembra prevalere, fino ad essere quasi palpabile, è quella del timor di Dio. La meschina piccolezza dell'uomo di fronte alla grandezza del Creatore è continuamente evidenziata e resta spazio solo per la contrizione per il proprio stato di miseri peccatori di fronte alla Perfezione. Questa dimensione è davvero incombente. E’ presente financo nell'espressione dei visi e nelle posture dei tantissimi pellegrini. Sembra davvero che chi si trova in quei luoghi venga avvolto inconsapevolmente dalla mestizia. Ho dovuto fare un atto di volontà per riaffermare dentro di me che se la gran cattedrale, con tutta la sua inarrivabile pompa e magnificenza, era stata costruita per celebrare la perfetta santità di un perfetto apostolo, questo apostolo, al suo tempo, sarà ben stato un uomo, con le sue umane miserie, con le sue imperfezioni. Le perfezioni fatte balenare sono puro illusionismo.  Solo la deformazione della prospettiva clericale umana, magari non disinteressata, successivamente, ha fatto sì che l'apostolo diventasse inarrivabile nelle sue virtù e la sua memoria fosse lì per ricordare quanto l'astante fosse lontano, in modo irrimediabile, da quell'esempio di perfezione. Chi ne subì le conseguenze, ad esempio sui roghi della Santa Inquisizione, potrebbe testimoniare quanto questo modo di porre la religione fosse funzionale al potere dei re e dei papi, e fosse astronomicamente lontana dall'insegnamento autentico del Vangelo. Queste riflessioni, forse banali e che, in ogni modo, vengono dopo che secoli di progresso hanno chiarito tante cose nella cultura dell'uomo, nulla possono togliere alla meraviglia che la cattedrale suscita nel vederla. A parte Santiago, con i turbamenti che ha suscitato, la Galizia è stata per me anche e soprattutto La Coruña.
Cominciamo col dire che  “A Coruña” (in galiziano si scrive A e non La e si pronuncia “A Corugna”), non significa affatto "la Corona" come erroneamente pensavo. Si tratta di una bella e moderna città detta anche la Città di Cristallo, per via delle vetrate che chiudono le verande dei palazzi e che fanno luccicare al sole tutto il lungomare. La gente è molto attiva ma anche molto, molto allegra, non per niente vale il detto: Santiago studia, Vigo lavora e A Coruña si diverte.  Qui, più ancora che nel resto della Spagna, è comune fare le ore piccole durante la fine settimana. Se andate in centro a mezzanotte o l'una, lo trovate affollato da non credere, tutti che si spostano da un locale all'altro e si vive molta allegria e animazione. Noi abbiamo avuto la fortuna di incontrare sulla nostra strada Juan, grande appassionato di vela e direttore di Marinaseca, il marina che ci ha ospitati durante le riparazioni di Ulyxes. Inizialmente, quando ha appreso delle nostre tribolazioni, ha detto una frase molto semplice: Io mi comporterò con voi come vorrei si comportassero con me se fossi in terra straniera e in stato di necessità. Detto questo, fino alla nostra partenza è stato un nume protettore, mi ha aiutato nella risoluzione d’ogni problema, fino ad accompagnarmi personalmente dal tornitore di sua fiducia, oppure a cercare gli speciali anelli di tenuta che mi servivano. Ci ha presentati ad amici suoi, i quali, a loro volta, ci hanno invitati alla loro “finca”( casa di campagna) per una piacevolissima giornata. Insomma abbiamo trovato una persona di grandi capacità e rapidità nel lavoro e, insieme, un amico generoso e pieno di calore. "Grazie Juan, che tu possa trovare qualcuno che ti aiuti se mai ne avrai necessità, te lo meriti". 
Sulle foto che seguono è d’obbligo un commento comune. Innanzi tutto vengono tutte da Camariñas. Avrei voluto conoscere l’assessore all’urbanistica che ha trovato queste perle di nomi. Chissà se quando li ha scelti era animato da sentimenti particolari verso qualche residente. E allora Rua do Viril ci lascia la briglia sciolta e ci fa immaginare chissà quali fenomeni da circo potessero ivi abitarci, con grande felicità di qualcuna/o… e che dire dell’ Estrada do Vilan, regno di modi scortesi e di maleparole irriferibili… o di quel gran pollaio doveva essere la Rua Pio Pio.

Ma Santiago di Compostela non é da meno…


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