Abbiamo lasciato la Galizia e nuovi luoghi,
totalmente diversi ci attendono, però come capita sempre quando partiamo, un pò
del nostro cuore resta nel luogo che stiamo lasciando. I nostri due ultimi
approdi sono stati Camariñas e La Coruña. Il primo, un
piccolo paesino di pescatori con un piccolo porto e un ancor più piccolo
marina. Il secondo, un grande centro moderno con un grande porto oceanico e un
marina modernissimo in via di completamento. Tra i due luoghi un carattere
comune: quello d’essere galiziani. Qui, in questa terra di lontane origini
celtiche, la gente è sì spagnola ma di una natura speciale e originale, una
singolarità simile a quella, se volete, di essere sardi in Italia. La lingua
galiziana è naturalmente vicina al castigliano, parlato nel resto della
nazione, ma con molte differenze e, inoltre, con delle somiglianze col
portoghese. La gente sente molto la propria particolarità culturale e, come noi
sardi, ne è insieme orgogliosa e prigioniera. Un galiziano doc, Juan, (per
interderci, il “Batman” di un recente
racconto), con il quale abbiamo immediatamente legato, mi ha rivelato come
loro, quando si spostano, per esempio a Madrid, si sentono osservati, hanno
paura di essere considerati "provinciali". Dentro di me ho pensato
che, forse, è solo una sorta di complesso che si portano addosso, e mi
tornavano alla mente i miei primi tempi in Accademia a Pozzuoli, unico sardo,
perso in mezzo a 150 colleghi "continentali". Il tema della Sardegna
mi è tornato con insistenza alla mente durante la permanenza in Galizia, o
Galiza come dicono loro. Infatti una radio locale, Radio Oleiro, mandava in
onda lunghi periodi di musica tradizionale e, da non credere se non lo si
sente, alcuni brani cantati da voci maschili soliste e alcuni pezzi suonati con
una sorta di cornamusa locale, la gaita, facevano pensare ai nostri Cantores e
alle launeddas rispettivamente. Sarà sicuramente un fatto casuale, ma mi ha
molto intrigato.
La Galizia è verdissima e
boscosa. La campagna e i boschi sono punteggiati da casolari e abitazioni, molto
belle e curate, accanto alle quali ogni tanto spunta un
"horreo".
Si tratta di una costruzione, originale di questa
regione, che ormai viene conservata come monumento. E’ una capanna di pianta
rettangolare, sopraelevata rispetto al terreno e costruita interamente in
pietra. Il suo pavimento poggia su degli slanciati coni infissi nel terreno,
come fossero delle corte colonne. Tra i coni e la base della capanna sono
interposti dei grandi dischi di pietra. Lo scopo di quest’elaborata struttura é
quella di rendere impervio l'accesso ai roditori, giacché la funzione
dell'horreo era di luogo di conservazione delle provviste come grano, patate e
legumi in un ambiente aerato (le pietre sono solo sovrapposte e non c'è malta,
esattamente come nei nuraghi). Era quindi una struttura di grande importanza
per la sopravvivenza delle famiglie: era la loro dispensa.
Durante la nostra permanenza siamo
stati a Santiago de Compostela. Non potevamo non andare a visitare uno dei
luoghi di pellegrinaggio più conosciuti della cristianità. E n’è valsa la pena.
In molti sensi. E’ stata una visita che mi ha fatto meditare molto.
Santiago è l’esemplificazione, il
paradigma del sentimento religioso spagnolo, del resto non tanto dissimile per
certi versi a quello italiano. In fin dei conti è la stessa religione e abbiamo
un papa in comune, ma ci sono delle peculiarità di grande rilevanza. L'intera
città è costellata di edifici religiosi e di culto, la chiesa di San Francesco,
il convento delle Clarisse, fra i tanti, e poi la celebre Cattedrale. Tutti
questi monumenti hanno un elemento unificante: la severità, che incute
reverenza e quasi timore. Sono severi nella pietra con la quale sono costruiti,
un'arenaria grigia e un pò scura. Sono severi nelle statue di santi e
personaggi vari, tutti molto pedagogici e ammonitori. Sono severi nella
penombra degli interni, dove gli altari rifulgono nella maestosa magnificenza
dell'oro zecchino che copre tutto.
E poi, a far sentire ancor più
piccino il pellegrino, contribuiscono le imponenti dimensioni dei monumenti e
del contesto urbanistico in cui essi sono inseriti. La dimensione religiosa che
sembra prevalere, fino ad essere quasi palpabile, è quella del timor di Dio. La
meschina piccolezza dell'uomo di fronte alla grandezza del Creatore è
continuamente evidenziata e resta spazio solo per la contrizione per il proprio
stato di miseri peccatori di fronte alla Perfezione. Questa dimensione è
davvero incombente. E’ presente financo nell'espressione dei visi e nelle
posture dei tantissimi pellegrini. Sembra davvero che chi si trova in quei
luoghi venga avvolto inconsapevolmente dalla mestizia. Ho dovuto fare un atto
di volontà per riaffermare dentro di me che se la gran cattedrale, con tutta la
sua inarrivabile pompa e magnificenza, era stata costruita per celebrare la
perfetta santità di un perfetto apostolo, questo apostolo, al suo tempo, sarà
ben stato un uomo, con le sue umane miserie, con le sue imperfezioni. Le
perfezioni fatte balenare sono puro illusionismo. Solo la deformazione della prospettiva
clericale umana, magari non disinteressata, successivamente, ha fatto sì che
l'apostolo diventasse inarrivabile nelle sue virtù e la sua memoria fosse lì
per ricordare quanto l'astante fosse lontano, in modo irrimediabile, da
quell'esempio di perfezione. Chi ne subì le conseguenze, ad esempio sui roghi
della Santa Inquisizione, potrebbe testimoniare quanto questo modo di porre la
religione fosse funzionale al potere dei re e dei papi, e fosse
astronomicamente lontana dall'insegnamento autentico del Vangelo. Queste
riflessioni, forse banali e che, in ogni modo, vengono dopo che secoli di
progresso hanno chiarito tante cose nella cultura dell'uomo, nulla possono
togliere alla meraviglia che la cattedrale suscita nel vederla. A parte
Santiago, con i turbamenti che ha suscitato, la Galizia è stata per me anche e
soprattutto La Coruña.
Cominciamo col dire
che “A Coruña” (in galiziano si scrive A e non La e si pronuncia “A Corugna”), non significa affatto "la
Corona " come erroneamente pensavo. Si tratta di una bella e moderna città detta anche la
Città di Cristallo, per via delle vetrate che chiudono le
verande dei palazzi e che fanno luccicare al sole tutto il lungomare. La gente
è molto attiva ma anche molto, molto allegra, non per niente vale il detto:
Santiago studia, Vigo lavora e A Coruña si diverte. Qui, più ancora che nel resto della Spagna, è
comune fare le ore piccole durante la fine settimana. Se andate in centro a
mezzanotte o l'una, lo trovate affollato da non credere, tutti che si spostano
da un locale all'altro e si vive molta allegria e animazione. Noi abbiamo avuto
la fortuna di incontrare sulla nostra strada Juan, grande appassionato di vela
e direttore di Marinaseca, il marina che ci ha ospitati durante le riparazioni
di Ulyxes. Inizialmente, quando ha appreso delle nostre tribolazioni, ha detto
una frase molto semplice: Io mi comporterò con voi come vorrei si comportassero
con me se fossi in terra straniera e in stato di necessità. Detto questo, fino
alla nostra partenza è stato un nume protettore, mi ha aiutato nella
risoluzione d’ogni problema, fino ad accompagnarmi personalmente dal tornitore
di sua fiducia, oppure a cercare gli speciali anelli di tenuta che mi
servivano. Ci ha presentati ad amici suoi, i quali, a loro volta, ci hanno
invitati alla loro “finca”( casa di campagna) per una piacevolissima giornata.
Insomma abbiamo trovato una persona di grandi capacità e rapidità nel lavoro e,
insieme, un amico generoso e pieno di calore. "Grazie Juan, che tu possa
trovare qualcuno che ti aiuti se mai ne avrai necessità, te lo meriti".
Sulle foto che seguono è
d’obbligo un commento comune. Innanzi tutto vengono tutte da Camariñas. Avrei
voluto conoscere l’assessore all’urbanistica che ha trovato queste perle di
nomi. Chissà se quando li ha scelti era animato da sentimenti particolari verso
qualche residente. E allora Rua do Viril ci lascia la briglia sciolta e ci fa immaginare
chissà quali fenomeni da circo potessero ivi abitarci, con grande felicità di
qualcuna/o… e che dire dell’ Estrada do Vilan, regno di modi scortesi e di
maleparole irriferibili… o di quel gran pollaio doveva essere la Rua
Pio Pio.
Ma Santiago di Compostela non é
da meno…
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