giovedì 13 maggio 2004

Diario di un giorno in navigazione

In genere vi parlo della barca e dei luoghi che raggiungiamo ma, a ben guardare, lascio in secondo piano il racconto sullo svolgimento delle giornate a bordo e su come si svolga effettivamente la navigazione da un porto ad un altro. Lo faccio perché penso che un’abbondanza di dettagli sulla navigazione e sugli aspetti tecnici potrebbe anche non essere d’interesse generale. Credo che ciascuno, nel leggere, si farà una sua personale idea della barca, del mare, del vento, delle manovre, dello scorrere della vita di bordo anche se, necessariamente, non potrà mettere a fuoco i dettagli di questa vita.
Noi abbiamo fatto, alcuni giorni fa, la navigazione da Sines a Cascais, lungo la costa portoghese. Si è compiuta nell'arco di una giornata ed è stata quindi una navigazione di breve durata, ma significativa ed esemplare di tante altre navigazioni. Ecco allora l'idea: salite con noi a bordo di Ulyxes e, insieme, facciamo questa giornata di navigazione in Atlantico, seguendo le note del giornale di bordo. Vi darò molti dettagli su come sono trascorse queste 15 ore e niente paura, se a qualcuno venisse il mal di mare (o si annoiasse) può scendere a richiesta, basterà… smettere di leggere. 
E’ il 9 maggio. Il mio sonno s’interrompe intorno alle quattro del mattino, mentre siamo all'ormeggio nel porto di Sines, sulla costa occidentale del Portogallo. C’eravamo rifugiati qui due giorni fa per il forte vento. L’intenzione é di raggiungere Cascais, nei paraggi di Lisbona, non appena il vento da nord, che infuria senza tregua, molli un pò.
Sono due giorni che ce ne stiamo rintanati a guardare il mondo attraverso gli oblò. 
Stamattina, verso le quattro, sono stato svegliato… dall’assenza del vento, quel vento che ha rumoreggiato e sibilato tra il sartiame nelle ultime 48 ore, senza interruzione. Lo specchio d'acqua davanti ad Ulyxes è finalmente calmo e la barca non ha il benché minimo movimento; questa calma e questo silenzio sono, a modo loro, tanto clamorosi ed insoliti da riuscire appunto a svegliarmi. Chiamo gentilmente Amalia per proporle la partenza immediata, ma l'idea non viene accolta con l'entusiasmo che merita, anche perché il ricordo dello sballottamento del trasferimento precedente è ancora molto vivo. Desisto e mi riaddormento. Fino alle sette. A quel punto non ce la faccio più, vedo che la calma di vento persiste, so che non durerà e, presto, si rimetterà il vento da nord. Sveglio l’equipaggio, sempre con cortesia ma, stavolta, anche con fermezza e, rapidamente, si fa colazione. Tè, fette biscottate con marmellata, biscotti, caffè e una mela; mentre io vado alla "Recepçao" per saldare il conto e salutare, Amalia rigoverna. Torno e provvediamo a liberare la barca dalla ragnatela di ormeggi apprestati precedentemente, lasciamo solo il doppino a prua e a poppa.  Amalia molla a prua al comando, io libero a poppa, dò macchina avanti e la barca scivola fuori dell’ormeggio con delicatezza. Il mare é liscio come l'olio e riflette l'abitato di Sines, la sua bellissima spiaggia e i mille colori dei pescherecci piccoli e grandi ormeggiati sul lato opposto dell'insenatura. Usciamo dal porto facendo attenzione ai galleggianti (bottiglie di plastica!) delle nasse e dei palamiti che qui sono una vera piaga, sono dappertutto, malamente visibili. Appena fuori dal porto imposto prua 315° per doppiare Capo Espichel, il vento si mantiene calmo e procediamo a motore ad andatura economica, 4 nodi rilevati al GPS. Ieri, finalmente, sono riuscito a sistemare il solcometro e ho l'indicazione di velocità rispetto all'acqua, 3.5 nodi, la differenza l'attribuisco ad un pò di corrente a favore. Nel corso della navigazione avrò invece modo di appurare che il solcometro effettivamente segna una velocità inferiore a quella reale, dovrò calibrarlo. Anche questo finisce nella lunga lista delle cose da fare! Sto al timone e mantengo la rotta meglio che posso, non possiedo un autopilota elettronico e Scipio, il timone a vento, in assenza dello stesso si rifiuta naturalmente di collaborare. Amalia ogni tanto mi da il cambio e io ne approfitto per rilevare la posizione al GPS e riportare il punto sulla carta, controllo la rotta, imposto piccole correzioni e aggiorno la stima dell'orario di arrivo a Cascais. Se continua così alle 18 saremo in porto. Però non spargo la voce, è meglio non dare illusioni, il vento da queste parti è capriccioso e, sempre, bastian contrario, so che può soffiare da un momento all'altro da nord e allora addio arrivo con la luce del giorno. Se arriveremo di notte è probabile che dovremo stare fuori del porto fino all'alba, io non amo entrare di notte in un porto sconosciuto, lo faccio solo se sono completamente padrone della situazione, com’è già accaduto a Gibilterra. Filo di poppa la traina con Giosuè, il nostro Rapala killer, che però oggi farà cilecca, non era evidentemente in gran forma.
Sssssh.... zitti, zitti, sono le 11 e arriva un venticello da Ovest Nord Ovest, prima forza 2 che poi passa a 3, insomma una decina di nodi che ci permettono di svolgere tutto il fiocco che, cazzato a ferro, ovvero reso quanto più possibile piatto e teso, ci dà una gran mano ad aumentare la velocità che è spesso sopra i sei nodi. Non male. Inoltre l'arrivo del vento mi permette di scatenare le smanie di Scipio, che comincia a prendersi cura della condotta della barca e io posso lasciare il timone. I puristi si chiederanno perché non andassimo solo a vela, utilizzando anche la randa e bolinando sui bordi. Beh, anche a me il rumore del motore non piace, preferisco lo sciabordio dell'acqua contro lo scafo e il fruscio del vento sulle vele. Però "à la guerre comme à la guerre", se un pò di motore mi permette di arrivare in porto con la luce e di evitare di stare tutta la notte in panna, in una zona frequentatissima com’é l'estuario del Tago, allora non ho dubbi, utilizziamo “il vento di sentina”. Ne guadagniamo in sicurezza e arriviamo prima. Tra l'altro su questa costa la sventolata da nord è sempre in agguato e allungare i tempi significa aumentare la possibilità di buscarne una ed essere ricacciati indietro, perdendo miglia e miglia. Mentre procediamo, la terra, di poppa, si fa sempre più indistinta, solo alcune ciminiere, altissime, a sud di Sines, si mostrano ancora, come spilli puntati in cielo, mentre a prua comincia ad intravedersi Capo Espichel. Un nome che mi è già familiare, tante sono le volte che l'ho letto sulle carte. Quando, in passato, fantasticavo sulle mie navigazioni future esso si poneva davanti a me in ogni possibile rotta verso il Nord Europa.  Per ora lo intravedo nella foschia e mi chiedo che aspetto avrà. Sarà bello? Sarà così così? Eh sì perché c'è capo e capo. Vedremo. Intanto la rotta necessaria, per far portare bene il fiocco si è stabilizzata intorno a 325-330°, mentre la mia rotta per doppiare il capo dovrebbe essere di 315°, dovrò quindi fare un bordo per guadagnare un pò di sopravvento. Per il momento procedo sui 325°, e quindi verso costa. Capo Espichel si avvicina, è imponente e aspro, con il faro in bell’evidenza contro il cielo azzurro. Sono circa le 12 e arriva in pozzetto qualcosa da mangiare, pane e acciughe per l’equipaggio, un poco di riso bollito scondito per me. Può sembrare un cibo poco invitante, ma io, lo adoro, lo trovo saporito e facile da mangiare. Del resto il cibo, quando sono in navigazione, è per me l'ultimo dei pensieri, deve veramente solo sostentarmi, non cerco mai gusti particolari o piatti complicati. Intanto certe nubi stratificate che erano lontane, a nord, si avvicinano. La visibilità prima eccellente, comincia a diminuire. Capo Espichel, malgrado sia ora più vicino, si vede con minor chiarezza, ho giusto il tempo di dire “Mi sa che è meglio mettere la cerata”, scendere in plancia, indossarla, tornare fuori, che una sottile pioggerella, stile londinese, viene giù a bagnare tutto. Con gentilezza però, quasi in punta di piedi. La temperatura si abbassa, già che in queste zone ancora di caldo non se n’è visto per niente. Amalia indossa i guanti polari(!) e si incantuccia in un angolo del tendalino. Non siamo ormai molto lontani dal capo, metto a riposo Scipio perché lui è sì infaticabile e non chiede né pane né acqua, però, per sua natura, porta la barca con un certo serpeggiamento, cioè non è capace di andare perfettamente dritto, ma va sempre un pò da un lato e un pò dall'altro della giusta rotta. Questo ondivagare  fa sì che noi si scarrocci sempre un tantino sottovento. Per non perdere troppo cammino, prendo il timone e bolino con la massima precisione che mi è possibile.
In questa zona c'è un pericolo costante: le spadare. Sono attrezzi da pesca lunghi chilometri, contrassegnati da bandiere e sostenuti da galleggianti. A volte, tra una bandiera e l'altra, ci sono svariate centinaia di metri e se il cavo che le unisce finisse sull'elica ne nascerebbe un vero disastro. Ecco perché è necessario scrutare incessantemente la superficie del mare. Non appena si vede una bandiera bisogna guardare sopravvento, alla ricerca di quella che la precede, in modo da farsi subito un'idea della sua disposizione e assumere una rotta parallela alla spadara, finché anche l'ultima bandiera non sia lasciata di poppa, solo allora si può tornare sulla propria rotta. E di notte? Che dire per le navigazioni notturne? Quante volte saremo passati accanto o addirittura attraverso una spadara senza rendercene conto?  Brrr, meglio non pensarci! Viro di bordo, vado per 270° per guadagnare il sopravvento che mi serve, debbo fare questo bordo non più lungo del necessario dato che in realtà mi allontana dalla mia meta, ma mi serve per doppiare il capo. Una ventina di minuti dopo viro ancora e rientro verso il capo, che adesso si avvicina e si mostra in tutta la sua orrida bellezza. E’ un lungo e altissimo spuntone calcareo. La base è un tormento di scogli, rive scoscese, tante grotte grandi, nere e buie. La sommità è invece abbastanza piana e regolare con una bella copertura vegetale. Con la prua attuale ci avviciniamo fino a poche centinaia di metri dalla riva, ho osservato con molta attenzione la carta nautica per scoprire eventuali secche o scogli affioranti: non ce ne sono. Altro piccolo bordo per 270° perché ancora non riuscirei a doppiare il capo, poi di nuovo a dritta per 325°. Questa volta, e sono circa le 16:00, passiamo il capo, di stretta misura, con una bolina di precisione, degna di Luna Rossa ( beh mi piace esagerare a volte!). Appare ora l'altra faccia di Capo Espichel. E' un incredibile costone dove sono disegnati con gran nitidezza gli strati calcarei che costituiscono la struttura geomorfologica del Capo. Chilometri e chilometri di costa, con tutte queste strisce, inclinate di oltre 45 gradi sull'orizzontale; l'erosione marina ha lavorato alla base causando dei crolli e  mettendo a nudo le superfici lucide e lisce degli strati, che si immergono in mare. 
Mi è venuto da pensare che se ci si ponesse sulla sommità, ci si potrebbe sedere su quelle superfici lisce e lasciarsi scivolare, arrivando al mare senza il minimo scossone come lungo una discesa ghiacciata. Oltre il capo si comincia a vedere la costa che corre verso nord. E’ un'ampia insenatura, che porta prima alla bocca del Tago, il fiume di Lisbona, e poi a Cascais. Anche qui si va di bolina “corretta”, vale a dire col motore ad assistere, perché il vento è ancora debole e viene quasi dalla direzione verso cui noi vorremo andare. Lo stimato d'arrivo è ormai intorno alle 23 e io sono ancora incerto se entrare o no in porto. Ne parlo con Amalia e decidiamo di rimandare la decisione a quando saremo prossimi all'arrivo. Se mi sentirò in sicurezza procederemo all'ormeggio, altrimenti staremo in panna fuori dal porto fino a domani mattina (una prospettiva poco allettante, comunque la si metta). Intanto che procediamo lungo la costa, stringendo al massimo l'angolo col vento, entriamo in un'area della baia dove possiamo osservare uno spettacolo mai visto prima. Sono migliaia e migliaia d’uccelli marini di varie specie, ne ho distinto almeno tre anche se, purtroppo, ancora non sono capace di assegnargli un nome.
Tantissimi volatili che coprono letteralmente la superficie del mare galleggiando come papere, mentre altri fanno il loro mestiere e volano, come si conviene agli uccelli, fiondandosi poi in acqua per cogliere di sorpresa i pesci che, evidentemente, stanno nell'area in gran numero. Gli uccelli simil-papera non si allarmano più di tanto al nostro arrivo. Remando senza fretta con le loro zampe palmate, si scansano del tanto strettamente necessario a levarsi dalla rotta della barca e poi continuano imperterriti nelle loro attività.
Io tengo d'occhio, speranzoso, la traina, si sostiene che dove c'è mangianza per gli uccelli ci siano anche i predatori di grande taglia, ma la speranza è vana, oggi niente pesce fresco. Si va verso la sera e ancora siamo lontani da Cascais. Continuo a carteggiare con precisione e accendo il radar, voglio confrontare gli echi sullo schermo con ciò che osservo a vista, non si sa mai, prendere un granchio in acque sconosciute e a meno di un miglio dalla costa sarebbe al minimo imbarazzante, disastroso se avessimo sfortuna. Siamo nelle vicinanze di aree ad alto traffico e tra poco entreremo nella zona delle barre fluviali del Tago, con i loro bassifondi. Amalia è abbarbicata alla ruota del timone già da un pezzo, il suo delicato compito è di non distrarsi e di mantenere il valore di prua che io determino al tavolo di navigazione. Passa il tempo, ormai il buio ha cancellato ogni possibilità di riconoscere a vista i dettagli della costa, si vedono tantissime luci lungo l'intera baia. Guardando all'indietro si vede bene il lampeggiare del faro di Capo Espichel, un lampo bianco, luminosissimo, ogni quattro secondi, ma poi, lungo la costa è solo una distesa indistinta di luci. A circa sei miglia da noi, a dritta, si delinea sullo schermo radar la bocca del Tago. L’immagine sullo schermo è molto diversa dalla realtà, ci vuole un pò d’esercizio per stabilire le corrispondenze con la carta nautica. Ma ecco che un segnale molto grande e distinto, con distanza in rapida diminuzione, si mostra sullo schermo radar, in corrispondenza della bocca del fiume. Ad occhio nudo non si distingue un bel niente ma la distanza continua a diminuire. E’ senza dubbio una nave, ma l’occhio è impotente a discernere alcunché. So per certo che c'è una nave, ma dov'è questa benedetta. Dove sono le sue luci di via? Ad un certo punto, come per incanto la vedo, o, meglio, vedo la sua silhouette. Cosa capita? Capita che la nave, un grande mercantile, costituisce una massa opaca che oblitera le luci retrostanti e, incredibilmente, la nave si delinea perfettamente come una sagoma nera che scivola contro lo sfavillio di luci dello sfondo. Direte: e le luci di via della nave? In queste condizioni di sfondo molto illuminato, le luci di via sono semplicemente patetiche e niente possono contro lo sfavillio retrostante, letteralmente scompaiono.  Adesso è agevole manovrare per scostarci dallo scomodo vicino e, capito il trucco, diventa agevole individuare altre due navi che seguono a poca distanza (tutte queste navi sono così ravvicinate perché è il momento in cui la marea è propizia all'uscita dal fiume e quindi si forma una sorta di “coda”). Nel frattempo siamo impegnati anche nel cercare di riconoscere il nostro porto di Cascais. Sul radar la forma della baia è chiaramente riconoscibile ma devo trovare la diga foranea. Ho il problema che la carta nautica non è recente e il porto turistico, costruito da poco tempo, non vi compare. In conformità ad una descrizione trovata su un portolano, ho potuto abbozzare, a matita, la forma approssimativa del molo di sovraflutto sulla mia carta nautica.  Non è certo gran cosa.  Però un faro, quello di S.Marta, posto nelle vicinanze del porto, si fa riconoscere molto prima di quanto pensassi. Nel nostro settore mostra un lampo rosso ogni sei secondi. Poco dopo sul radar si delinea una forma così rettilinea che, secondo me, non può che essere il molo di sovraflutto di Cascais, quello che sulla carta ho tracciato a matita. Prepariamo i nostri due fortissimi fari da alcuni milioni di candele, potrebbero aiutarci. Aguzziamo lo sguardo come faine, ogni tanto vediamo una luce rossa, ci fa pensare che siamo riusciti ad individuare il fanale sinistro della bocca del porto e invece sono solo illusioni ottiche, forse sono le luci degli stop delle auto. Poi, finalmente, individuiamo il nostro segnale rosso lampeggiante, la frequenza dei lampi è quella giusta, è Cascais. Resta solo da individuare il fanale verde per capire come sia disposta la bocca del porto ed entrare. Purtroppo l'ecoscandaglio ha smesso di funzionare e, man mano che ci avviciniamo a terra, quest’avaria diventa sempre più fonte d’ansia. Se conoscessi la profondità reale del fondale sarei tanto più tranquillo. Comunque la carta nautica mi da profondità tranquillizzanti e quindi procediamo, lentamente, verso terra, nell’attesa di avvistare il fanale verde. La luce rossa lampeggiante si fa più vicina e la situazione sembra tranquilla. All'improvviso, compare una seconda luce rossa lampeggiante come l’altra, posta più a destra della prima. E’più debole e prima non si vedeva. Ohibò, e questo cosa significa? In un mondo fatto solo di luci e di aree buie, un'ambiguità come questa ti butta di colpo nell'incertezza più profonda. Quale delle due luci rosse segnala l'estremità del molo di sovraflutto, che cosa c’é nello spazio tra le due luci? Acqua? O solida TERRA?  O solido CEMENTO? Non si vede nulla, ma bisogna assolutamente non sbagliare. L'istinto mi guida a non passare fra le due luci e a far rotta intorno alla seconda luce rossa lampeggiante. Ancora all'improvviso, si svela, finalmente, l'agognata luce verde che contrassegna il molo di destra. Ora la posizione della bocca del porto è inequivocabile, non ci sono più problemi, so dove dirigere la prua. Procediamo ormai col cuore leggero e ormeggiamo al molo di attesa. Con un grande senso di soddisfazione per una cosa ben riuscita, speriamo che vada sempre così. 
P.S. Quando, il giorno dopo, abbiamo lasciato Cascais per risalire il Tago, mi sono rallegrato per aver preso la giusta decisione la sera prima: la zona di mare compresa tra le due luci rosse lampeggianti è costellata di scogli affioranti!!!

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