giovedì 6 maggio 2004

Da Portimaõ

E veniamo allora a questo Portogallo che stiamo osservando da Portimaõ.
Ha due facce, diametralmente opposte. Il marina, dove siamo ormeggiati, con l'annesso centro turistico di Praia da Rocha, é quanto di più smaccato ci sia nel campo dell'industria del divertimento. Non voglio affermare che tutto questo sia brutto, anzi, é sicuramente molto ben realizzato e organizzato, ma é funzionale unicamente allo spasso di massa un po’ becero dell'estate. Le tante vetrine di chincaglierie turistiche, i tanti negozi con articoli da mare, l'infinità di ristoranti, bar e pizzerie, tutto è lì per un unico scopo, creare occasioni per consumare, spendere e fare come se davvero ci si divertisse da morire.
A questa faccia consumistica e, sicuramente, redditizia, fa da contraltare la vecchia Portimaõ, dove il Portogallo tradizionale viene fuori con grand’evidenza. E’un Portogallo di casette tutte basse, in genere bianche, con fregi e spigoli colorati d’azzurro, strade strette e tortuose, piccoli negozi e piccoli baretti un pò bui dove, ai tavolini, gruppi di uomini giocano a carte. Si può bere e mangiare lumachine piccanti in un’atmosfera paesana, informale e distesa.
Tanti aspetti mi riportano alla mente certe immagini familiari nei nostri paesi della Sardegna. Anche qui il geometra del posto, con velleità da architetto, ha voluto dare un tono moderno a certi dettagli, come i portoncini d'ingresso d’alluminio anodizzato che, in case antiche, hanno sostituito i vecchi portoni in legno a larghe doghe orizzontali. Forse voleva essere moderno e invece é solo kitch. Però devo dire che, forse perché questi aspetti mi sono familiari, l'insieme è in fondo gradevole.
Si vede da mille dettagli che questa società viene da una lunga storia di fatiche, da un’esperienza di vita travagliata e poco avvezza ai lussi. I visi, dai tratti marcati, che s’incontrano per la strada, sono gli stessi che incontriamo su certe nostre strade dell'interno della Sardegna.
Tutto questo mi rende questi luoghi già cari, senza quasi conoscerli e, seguendo i pensieri assurdi che ogni tanto attraversano la mente, questo potrebbe essere un luogo dove, un giorno, varrebbe la pena trasferirsi e spendere il proprio tempo.
Ieri abbiamo avuto una bellissima sorpresa (che poi tanto sorpresa non è, visto che ce lo eravamo promesso da mesi), sono arrivati a Portimaõ Costantino e Teresa sul loro camper. Tanti amici li conoscono già e quindi non faccio presentazioni; arrivavano direttamente da Nizza, senza fermate che non fossero quelle notturne per dormire, un vero tour de force. Naturalmente il giorno dell'arrivo è stato dedicato alla reciproca compagnia e...alla crapula; infatti, le rispettive cambuse sono ancora ben fornite di prodotti nostrani per permetterci di festeggiare degnamente l'incontro (c'era anche "casu marzu", grazie Lello!).
Domenica 3 maggio, profittando della disponibilità del camper siamo andati a visitare Faro, la capitale dell'Algarve, sotto una pioggerella che faceva tanto Old England. Un'oretta di guida sulla statale 125, in mezzo ad una campagna che in certi punti, potenza evocativa dei numeri, sembrava proprio la campagna sarda lungo la SS 125 Orientale Sarda, con le ginestre in fiore, gli ulivi, i vigneti, gli agrumeti e …e quelle zone incolte, abbandonate, coperte di erbe e arbusti dall'aspetto tanto familiare.
Arriviamo a Faro per scoprire che non c'è alcun.... faro, mi sono chiesto il perché del nome ma la mia curiosità è per ora senza risposta. Ad una cosa che mi aspettavo di vedere e non ho visto, ha fatto però da compenso una cosa che non mi aspettavo e che invece ho visto in gran quantità: un pennuto di dimensioni spettacolari, che conoscevo solo per certe buffe storie che ci raccontavano da bambini, ovvero le cicogne.
Il primo nido l'abbiamo scoperto per caso, sembrava un gran cesto posato sulla sommità di un'alta colonna; ci chiedevamo che cosa ci facesse quell’ammasso di sterpi lassù in alto. Però aguzzando lo sguardo si è intravista la rotondità del cranio del volatile, accovacciato dentro, e abbiamo capito trattarsi appunto del nido di una cicogna. 
Poi guardando intorno, abbiamo visto molti altri grandi nidi, tutti posati sulla parte più alta dei vecchi edifici, dei fanali stradali e quant’altro. Sul frontale di un'antica chiesa ce n’erano addirittura due, uno per lato della croce centrale. Sulla destra una cicogna era ritta sulle zampe, di fianco al suo nido, e devo dire che è proprio un uccello enorme, sembrava un frate avvolto nel saio. Io non so nulla delle cicogne, ma ho fantasticato per un pò sulla possibile vita di questi grandi volatori che, da veri intenditori, scelgono come loro abitazione solo edifici antichi e solenni. Costruiscono il nido, in alto, con rami e stoppie così abilmente aggiustati che, nonostante l'apparente casualità della loro disposizione, sono in grado di resistere ai venti delle burrasche atlantiche. E a quel nido tornano, anno dopo anno, seguendo il ciclo delle stagioni. Ho immaginato che la stessa mamma cicogna possa tornare, anno dopo anno, allo stesso nido per deporre e covare le sue uova e, forse, diventata vecchia e compiuta la sua ultima migrazione, una delle piccole cicogne, nate in quel nido, possa farlo suo, e lo adoperi a sua volta per covare le sue proprie uova e vi faccia nascere i suoi propri piccoli. Così magari, ad una città di mattoni, edificata dagli uomini nel corso degli anni, dove i figli succedono ai genitori nella casa di famiglia, potrebbe corrispondere, in una simmetria surreale, una città aerea di nidi costruiti da grandi uccelli, dove ancora i figli succedono ai genitori secondo un ritmo che è quello eterno della vita.

Dal giornale di bordo:

27 aprile: festeggiamo un mese dalla nostra partenza. Siamo appena arrivati a Portimaõ e celebriamo con tonno talmente fresco che non sa di tonno ma di qualche carne pregiata; lo innaffiamo con lo spumante Ferrari che conservavo per un’occasione speciale. E questa lo è davvero.Un mese in mare, il primo porto oceanico, l’inizio della risalita verso il freddo, ora si inizia a fare sul serio, speriamo che lo sguardo degli dei del mare si posi benevolo su Ulyxes e il suo equipaggio. In effetti per questa data speravo di essere già a La Coruña. Ma non me ne cruccio, l’obbiettivo resta raggiungere le isole Svalbard, ma esso è subordinato ad un altro: prima di tutto dobbiamo stare bene noi dell’Ulyxes, non farò l’errore di sacrificare il piacere di andare per mare liberi da impegni, al conseguimento di un risultato che, seppur prestigioso, non aggiunge nulla al nostro vivere in mare. Dovunque saremo arrivati, per il 15 luglio smetteremo di puntare a nord e torneremo verso latitudini più calde, senza alcun rimpianto. Comunque ci sono ancora due mesi e mezzo. Vedremo.
Durante la navigazione abbiamo avuto una visita inaspettata. Di notte, mentre nei pressi dell’albero lavoravo per issare la randa, dopo aver sollevato pochi centimetri di vela, sento baccano, un frullio d’ali, un gran movimento di un pennuto non definibile, vicinissimo. Quando si posa in coperta rivela la sua specie: un piccione con tanto di targhetta identificativa. 
Si era rifugiato in mezzo alla tela ripiegata della randa e il mio intervento aveva interrotto il suo sonno. Resterà in coperta, infreddolito e diffidente fino a che saremo vicini a terra. Due volte spicca il volo e due volte torna a bordo immediatamente: la riva è evidentemente ancora troppo lontana. Al terzo tentativo invece punta decisamente verso terra e sparisce rapidamente alla vista. Peccato, mi ci stavo affezionando. Cercavo di capire perché un piccione fosse arrivato a bordo, nel cuore della notte, nell’immensità dell’oceano, proveniente chissà da dove. Forse si era perso, trascinato dal vento. Nella notte ha visto la barca, il chiarore della coperta bianca e, forse stremato da un lungo volo, ha trovato un rifugio insperato e determinante nella vela ripiegata di Ulyxes. Quando poi l’ho involontariamente disturbato e ha dovuto lasciare il riparo che  si era procurato, non è volato via  spaventato dai miei armeggi sulla vela perché era molto più spaventato dalla infinita distesa liquida che aveva sorvolato per ore, fino allo sfinimento. Sapeva che la barca, la sua solida coperta erano la sua salvezza. Ecco che ha preferito restare a zampettare a bordo. Quando poi il sole ha cominciato a scaldare ha anche smesso di appallottolarsi comicamente come aveva fatto durante la notte per combattere il freddo. E anche la sua livrea è cambiata e ha preso colori più vivi, quasi metallici. Quando finalmente ha deciso che la terra era sufficientemente vicina se n’è andato senza…un saluto. Mentre lo seguivo con lo sguardo pensavo divertito a che cosa fa un piccione che atterra, dopo un lungo viaggio in barca, in terra straniera. Che fa? Cerca un ritrovo per piccioni di passaggio e si presenta? Piacere, piccione Tizio, vengo da non so dove e mi hanno portato fin qui dei buffi navigatori. E se invece arriva in un posto di piccioni razzisti e lo caricano di botte perché è un intruso. Mah, misteri di una vita da volatile, occasionalmente clandestino su un veliero.


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